La Nostra Storia
Dal 1958
Correva l’anno 1957, quando il signor Giovanni Guidi noto scultore del paese, decidese di acquistare l’ex officina Fiat della famiglia Ricci e trasformarla in una struttura ricettiva denominata Albergo Ristorante Guidi.
Qualche mese dopo però Giovanni, a causa di problemi famigliari, prese la decisione di lasciare l’albergo.
Fu cosi’ che Buonfiglio Bravaccini, nonno dell’attuale proprietario Andrea, stimolato dai figli, si convinse ad acquistare l’Albergo.
Buonfiglio tuttavia rimaneva titubante ed era tormentato da una preoccupazione di fondo: non essere all’altezza di gestire un’attività di quel genere poichè le sue esperienze di lavoro erano solo di carattere agricolo, provenendo da una famiglia di contadini.
Così Buonfiglio prese la decisione di dare in gestione l’albergo ad una persona con esperienza in questo mestiere in accordo con i figli: Ornello, Mario, Gigino, Lina, la moglie Lerina.
La persona, scelta su consiglio di un amico, era un direttore di alberghi proveniente dal capoluogo, Bologna.
Fu così che naque nel 1958 l’Albergo Bar Ristorante Bologna.
In quei tempi era possibile dare in affitto un’ attività mantenendo la proprietà della licenza e questa soluzione si rilevò una grossa complicazione in
quanto il direttore era una persona incapace e con pochi scrupoli poichè acquistava e non pagava i fornitori accolando il debito sugli intestatari della licenza.
In un anno raggiunse un debito di attivita’ pari a 13 milioni di lire, una cifra enorme per quell’epoca, con quei soldi a San Piero in Bagno si potevano comprare 10 appartamenti.
A questo punto la Famiglia Bravaccini unita convinse il direttore ad abbandonare la sua posizione e si prese in carico le onerose passività.
Con determinazione, affrontando tutte le difficoltà del caso, la famiglia prese in gestione l’albergo e diede inizio alla storia di due generazioni che sono nate e vissute nella struttura realizzando quello che oggi rappresenta l’Albergo Ristorante Bologna.
Boris Ricci
Come sempre per capire il senso delle cose, bisogna rivolgere lo sguardo al passato, ripercorrere la storia. Parlando di storia non ho mai conosciuto l’origine e il perché del nome “Bologna”, finché Andrea non me ne svelò la provenienza, qualche settimana orsono.
Pensandoci bene quanta storia è già racchiusa in un sol nome. Se fossimo meno distratti, dovremmo cogliere questi particolari, come un fotografo attento raccoglie sulla pellicola i particolari e gli istanti che la gente abbandona per strada.
Ma se v’interessa questa storia, chiedetela a lui, Andrea, o a suo babbo Mario; sapranno raccontarla con dovizia di particolari.
Io posso raccontare solo quella del mio “Bologna”.
La storia di questo luogo è un po’ la storia della mia infanzia e quella di una generazione cresciuta in un mondo che, pur vicino in termini di tempo, appare distante come un altro pianeta.
Ogni volta che percorro il viale accanto al Rio, che accompagna, con il dolce risciacquo dei suoi rivoli, il rumore diurno della vita e guida il cammino verso le borgate più antiche di questo piccolo paese, non posso fare a meno di ricordare i bambini che eravamo: folletti colorati che animavamo i viali di tigli del Mercato Vecchio e delle vie circostanti.
Parliamo della seconda metà degli anni settanta. Per noi tutti il Bologna era il “Bar Bologna” e la parola “Bar” aveva più il significato di un ritrovo che un locale in cui si servono cappuccini e brioche.
Anche allora il locale era un albergo e un ristorante, ma questa era per noi cosa sconosciuta o marginale.
Dal juke box che suonava nel cortile estivo, ascoltavamo le prime canzoni dei Bee Gees e John Travolta. Nella saletta interna guardavamo in TV le partite della nazionale di calcio e vedemmo Panatta, Bertolucci e Barazzutti sfidare l’Australia in Coppa Davis. Qui guardavamo con incanto i campioni di Flipper, conoscemmo i primi video games e le memorabili partite a Space Invaders.
Andrea era uno di questi ragazzi, che correvano fra gli alberi del parco e costruivano capanne sul greto del fiume, che giocavano interminabili partite di calcio e avvincenti sfide sulle piste di sabbia, con le colorate palline dei ciclisti di allora.
Ovunque si trovava l’opportunità per divertirsi: poche cose ma tanti amici. Vitalità da vendere. Il bar Bologna, oltre il parco del Mercato Vecchio, era uno dei luoghi in cui i ragazzi potevano trovarsi, non solo per godersi un ghiacciolo o una spuma d’estate, ma anche per chiacchierare e far progetti seduti accanto al juke box, mentre all’interno gli adulti consumavano bevande e caffè, giocando a briscola e marafona.
Ricordo Andrea incollare figure di piatti nei primi quaderni della scuola alberghiera, muovendo i primi, impegnativi, passi verso la sua attuale professione. Ma oltre la scuola, oltre la passione per il proprio lavoro e la ricerca della qualità, qui c’è la storia di una giovane famiglia e di un paese, con le sue tradizioni, i suoi ingredienti, i suoi ritmi, i suoi personaggi.
Tutto questo fa parte di quella “magia” che entra nei piatti e da un sapore diverso alle cose, come il ragù della mamma o i dolci della nonna. Quel “calore” che, solo chi vive un luogo perché è la sua vita, può riuscire a trasmettere. E il calore, si sa, si diffonde più facilmente nei piccoli ambienti o fra le mura famigliari.
Ecco cosa troverete sotto quell’insegna di origine Emiliana in un piccolo borgo della Romagna-Toscana. Così, se siete di passaggio verso Roma, abbandonate la strada veloce. Prendetevi tempo.
Tornate sulla vecchia statale, sedetevi a un tavolo e date credito alle parole di Hemingway:
“E’ bello avere un fine verso cui viaggiare; ma è il viaggio che conta, alla fine.”